Riflessioni sul docente specializzato per il Sostegno. La MEDIATTICA.La vera vocazione di ognuno è una sola, quella di conoscere se stessi. (Hermann Hesse)
“Insegnare oggi appare più che mai una scelta professionale coraggiosa” [1] e la relazione, per il docente specializzato sul sostegno, diviene il punto cardine, poiché “l’insegnamento è di fatto una professione relazionale. Il docente interagisce incessantemente con lo studente, con la famiglia, con i colleghi, con le istituzioni" [2]. Il docente deve tenere presente la consapevolezza del fattore dell’imprevedibilità; non deve mai dare per scontato le preconoscenze dello studente, perché ogni studente è una storia a sé e deve essere conosciuto. Per questo l'osservazione clinica (iniziale e costante) è essenziale, non basta limitarsi a consultare documenti o diagnosi. Osservare luoghi, tempi e relazioni, ponendo l’attenzione su alcuni focus: movimenti, tono della voce, relazione ed esposizione comunicativa con i compagni e i docenti, comportamenti, attenzione, motivazione, sguardi, piccoli gesti, postura. Osservare "non è sinonimo" di vedere, c’è dell’altro: l’osservazione clinica (occhio clinico) equivale al “vedere oltre” e con essa cambia lo spessore della “lente”. Pertanto, osservare, osservarsi e sapere di essere, nello stesso momento, oggetto di osservazione è da ritenersi un lavoro meta-cognitivo ossessivo, quasi ridondante. D’altronde, bisogna considerare che la formazione di un insegnante è un processo senza fine, nella quale si fonde inevitabilmente la storia personale, con “la consapevolezza che il processo di acquisizione di qualsivoglia conoscenza passa necessariamente attraverso il dialogo con se stessi e la propria storia” [3]. Devo ammettere che questo processo di acquisizione, a volte, sfugge all’insegnante “involontariamente”. Chiunque volesse intraprendere la strada dell’insegnamento deve fare i conti con la propria esperienza scolastica, con i propri modelli, con la passione, i successi e gli insuccessi appresi durante la propria vita personale. Riconoscere i propri limiti è inevitabilmente una risorsa. L’“io so”, perché sono un insegnante, e tu non capisci nulla, perché sei uno studente, non è sicuramente l’atteggiamento degno da seguire. Vincenzo Fanelli, scrittore e formatore aziendale di fama mondiale, si è più volte soffermato sull’importanza del “rispecchiamento”, ossia quel sistema che dà la possibilità di creare con il nostro interlocutore un “rapporto empatico”, basato sulla fiducia e la sintonia emotiva. “Il rispecchiamento è uno dei metodi più potenti e che è alla base della programmazione neuro-linguistica. È un sistema per creare velocemente rapporti con il nostro interlocutore. La stessa parola indica un’assunzione della nostra postura speculare a quella di chi ci è di fronte. Pensate a due innamorati. Quando sono insieme, assumono una postura identica, mimando gli stessi gesti, come in una “danza” non verbale" [4]. Vincenzo Fanelli fa esplicito riferimento a Robert Levenson, psicologo della California University di Berkeley, il quale ha mostrato come l’empatia ha una base fisiologica. Inoltre, si deve tenere sempre presente che in una relazione docente-discente entrano in gioco anche le aspettative di entrambi; il linguaggio, le immagini, i segni e le strategie comunicative assumono un ruolo importante perché lo sviluppo delle conoscenze metacognitive di ciascuno è inevitabile. Preso atto “che ciascuno di noi sviluppa delle conoscenze metacognitive delle quali poi può essere più o meno consapevole”, è evidente che “l’acquisizione di questa coscienza permette di intervenire nella regolazione e nel controllo dei processi messi in atto dalla persona” [5]. La riflessione su se stessi non è certamente un lavoro semplice e né tanto meno la si può liquidare in poche battute. Attivare la metacognizione durante l’azione, in questo caso durante l’agire in classe, è un lavoro decisamente laborioso ma per l’insegnante specializzato può essere maggiormente gratificante poiché si tratta di una sfida ulteriore. Difatti, se si riescono a “gestire le diversità individuali, garantendo a tutti gli alunni l’individualizzazione del processo di apprendimento” [6], si favorisce l’integrazione dell'alunno nell’ambiente classe. La conquista di questo traguardo per l’insegnante specializzato altro non è che una maggiore gratificazione che alimenta la propria autostima. Inoltre, l’autoefficacia, ossia quelle “convinzioni relative alla propria capacità di affrontare adeguatamente situazioni specifiche” [7], gioca un ruolo importante. L’autoefficacia dell’insegnante è “il grado in cui egli crede nelle proprie capacità di influenzare la prestazione degli studenti” [8]. Bisogna considerare che “una delle proposte più radicali emerse dalla psicologia culturale nel campo dell’educazione è stata quella di rivoluzionare la concezione della classe, considerandola appunto una sottocomunità di persone che apprendono le une e le altre, dove il docente ha il compito di orchestrazione” [9]. “La conoscenza, dunque, non è «accumulo», ma significati, rapporti, gerarchie, nessi e combinazioni di cui l’insegnante è «orchestratore» più o meno consapevole di più entità fluide che comprendono invariantemente anche se stesso” [10]. Per questi motivi, il compito principale del docente specializzato per il sostegno non è di sostituirsi allo studente, ma è quello di mediare, attraverso strategie didattiche e comunicative, per fare emergere le potenzialità del singolo studente. [1] O. Albanese, Disabilità, Integrazione e formazione degli insegnanti, Bergamo, Edizioni Junior, 2006, p. 29. [2] Ivi, p. 193. [3] L. Formenti, I. Gamelli, Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé nei luoghi dell’educazione. Op. cit., p. 82. [4] Empatia e Rispecchiamento. [5] A. Antonietti, M. Cantoia, La mente che impara. Percorsi metacognitivi di apprendimento. Op. cit., pp. 21-22. [6] O. Albanese, Disabilità, Integrazione e formazione degli insegnanti, op. cit., p. 29. [7] Ivi, p. 197. [8] ibidem. [9] J. S. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 35. [10] P. De Mennato, Saperi della mente, saperi delle discipline, Napoli, Ellissi, 2003, pp. 16-17. Massimiliano Sanfedino L'ANGOLO del Café - "L'Amicizia" - APERITIVO - IPSSEOA Trino (Vercelli) - 04/05/2018Il tema centrale, della seconda parte dell’ANGOLO del café, è stato il "valore dell'AMICIZIA nell'era dei social". Un vero e proprio “aperitivo” presso l'I.P.S.S.E.O.A "Sergio Ronco" di Trino (VC) dell'I.I.S. “Galileo Ferraris”, che ha visto nuovamente protagonisti gli studenti della classe 4ᵃ A (Enogastronomia) e i loro insegnanti. Durante l’evento si sono degustate alcune varianti della pizza, cocktails analcolici e degli ottimi tiramisù. L’iniziativa, sponsorizzata dalla prof.ssa Alessandra Ticozzi (collaboratrice del Dirigente Scolastico Giovanni Marcianò), è stata curata dalla prof.ssa Paola Bosso (Lettere) e dal prof. Massimiliano Sanfedino (Tecniche di comunicazione - Specializzato sul sostegno). L’evento ha avuto luogo venerdì 4 maggio alle ore 11:00 presso la sala "Melissa" dello stesso istituto, con diretta streaming sul canale youtube MeDiaTTicA & Music Hard, per dare l'opportunità a tutti gli studenti di interagire durante la diretta. Questa volta al dibattito hanno partecipato alcuni studenti della classe, il prof. Matteo Vacchina (Sala-Vendita), il prof. Massimo Bagna (Specializzato sul sostegno) e la stessa prof.ssa Bosso. Come per il “primo episodio”, l'aspetto tecnico è stato curato dal prof. Sanfedino, mentre la prof.ssa Ester Sirna ha curato la scenografia del set. Hanno collaborato alla realizzazione dell'evento anche altri alunni dell'istituto, come si evince dal video (per ciascuna articolazione - indirizzi), sotto la supervisione dei professori Stefania Parini (Sala-Vendita), Vittorio Isernia e Cristina Giuppone (Enogastronomia), Barbara Berlucchi (Pasticceria), Antonella Forte (Sc. degli alimenti), Gabriella Goslino e Roberto Amodio per Accoglienza turistica. Questa seconda esperienza didattica è un vero e proprio “biglietto da visita interattivo” dell’istituto “Ronco”, un’opportunità per far conoscere attraverso i social l’offerta formativa dei quattro indirizzi professionalizzanti, oltre ad un momento di condivisione dal punto di vista didattico-culturale. “Lo tsunami tecnologico in atto invade ormai in modo prorompente il campo delle metodologie didattiche. La didattica è oggetto di profondi cambiamenti legati alla rivoluzione digitale con l'affermarsi di nuove metodologie e nuove forme di apprendimento. Le scelte metodologiche in aula segnano un passaggio da frontale e nozionistico a interattivo e sociale.”[1] “Gli strumenti tecnologici in sé sono potenzialmente molto utili ma senza i valori di fondo, senza una metodologia inclusiva di base, senza una didattica efficace, un soggetto non raggiungerà nessun obiettivo. Sicuramente, partecipazione e coinvolgimento sono componenti essenziali per un apprendimento efficace e duraturo. La mediazione didattica attraverso i media (la Mediattica), in questo caso, assume un ruolo fondamentale che fa da perno all’interno di un setting d’aula, in altre parole è il collante tra i nuovi strumenti tecnologici, le conoscenze individuali, le nostre coscienze, favorendo e alimentando nuove strategie e competenze soggettive.”[2] [1] M. Sanfedino, La tecnologia come estensione didattica. [2] Ibidem. Massimiliano Sanfedino Vedi anche - L'ANGOLO del café - La Felicità... la mediazione didattica ... MEDIATTICALa valutazione scolastica
Dal punto di vista pedagogico-didattico è essenziale definire il nesso intrinseco che esiste fra l’insegnare e il valutare. Di fatto la valutazione è una componente dell’azione didattica, ed essa è continua e inevitabile. In qualche modo, le attività di verifica devono essere pensate e progettate insieme alle azioni di insegnamento. Se ciò non accade insorgono i difetti più comuni e ricorrenti nell’esperienza scolastica: valutazioni superficiali, inadeguate, rivolte ad elementi non dipendenti dall’insegnamento intervenuto, valutazioni giudicate incongruenti o “ingiuste” dagli studenti. La valutazione implica, in primo luogo, una diagnosi, ma questa diagnosi può riferirsi ad almeno tre livelli e dimensioni diverse fra loro: - Si può valutare il quadro generale delle competenze e degli atteggiamenti in atto nella personalità dell’allievo (qualità del linguaggio, conoscenze generali, capacità di concentrazione dell’attenzione e prontezza nell’apprendere, qualità sociali etc.). Dopo un certo periodo di conoscenza dell’allievo, un insegnante "esperto" di norma ha operato una valutazione abbastanza articolata e puntuale di questo livello, in relazione all’età degli studenti. Tuttavia, si tratta di elementi tutti ascrivibili alle pre-condizioni dell’atto di insegnamento e dei processi di apprendimento immediati, e c’è sempre il rischio che il giudizio "sommativo" finale riguardi di fatto tali precondizioni, piuttosto che nuove e specifiche prestazioni cognitive dello studente. - Si possono valutare le potenzialità cognitive ed emotivo-affettive di uno studente (quelle che chiamiamo comunemente “capacità”). Molti insegnanti competenti, con una buona esperienza in alcuni settori scolastici, presentano delle abilità diagnostiche/prognostiche molto sofisticate sotto questo aspetto. Questo tipo di valutazione determina le “profezie” (in positivo o in negativo) che possono influire molto sugli sviluppi futuri dei processi di maturazione dell’allievo e della relazione insegnante/allievo. La “prognosi” ottimistica sollecita aspettative positive nell’insegnante e spesso, per conseguenza, determina le sue stimolazioni e i controlli nei confronti dell’allievo. Tendenzialmente “investiamo” di più su un allievo valutato come “promettente”, come dimostrato dalla ormai classica ricerca sull’effetto Pigmalione). - Possiamo infine valutare (e dunque verificare) gli esiti delle azioni di insegnamento e dei processi di apprendimento rispetto ad unità più o meno ampie di conoscenza e di abilità disciplinari. In questo caso ci riferiamo a periodi e ad esperienze limitate (oggi, una settimana di lavoro, il contenuto disciplinare svolto in un mese etc.). Anche questa è una valutazione (verifica) di tipo diagnostico, ma si applica ad un contesto più limitato e particolare, riguarda una prestazione definita, che può essere del tutto incongruente con le valutazioni del livello generale e delle potenzialità di un allievo, e potrebbe essere incongruente con altre prestazioni parallele in altri ambiti disciplinari. Difatti, è da tener presente che “l’insegnante” quando “entra in classe per tenere la propria lezione” non trova solo “pareti, banchi, sedie, studenti. C’è anche qualcosa che non si vede con l’occhio, ma che influirà su quello che avverrà nell’aula. Oltre allo spazio fisico in cui si tiene la lezione c’è uno spazio mentale: nella testa dell’insegnante e degli studenti ci sono convinzioni, immagini, sensazioni, idee riguardo ciò che capiterà durante la lezione. Insegnanti, studenti, lavagna, quaderni, spiegazioni, interrogazioni si collocano dentro un «ambiente di apprendimento» che è costruito sulla base del modo con cui ci si rappresenta il lavoro scolastico che si compie”[1]. “Il contesto scolastico si definisce appunto come contesto caratterizzato dalla progettualità e dall’intenzionalità delle attività che vi vengono svolte. Si è a scuola per raggiungere obiettivi, e le attività che vengono proposte sono pensate e strutturate per il raggiungimento di un fine”[2]. Inoltre, è indispensabile tenere presente che “oltre alla progettualità degli insegnanti c’è la progettualità dei singoli studenti, che si trovano a dover soddisfare una serie di richieste in termini di conoscenze, comportamenti e risultati”[3]. Presumibilmente, quando uno studente giudica che i suoi professori “fanno differenze” o “fanno ingiustizie”, nella maggior parte dei casi, gli insegnanti sono effettivamente distratti da “effetti alone”, o da “effetti Pigmalione”, scaturiti dai primi due livelli di valutazione, che interferiscono nella valutazione delle singole prestazioni scolastiche dei loro allievi. Dobbiamo assumere come principio di metodo essenziale la separazione della valutazione di ogni singola prestazione/condotta dalla valutazione della persona. Lungi dall’essere un’indicazione di tipo morale, questo è un criterio professionale specifico: le persone tendono a leggere i giudizi di qualsiasi tipo sempre come riferiti alla propria persona, e dunque se ne difendono anche aggressivamente soprattutto se sono molto giovani. Viceversa, la possibilità di separare la prestazione/condotta dalla propria persona nel momento valutativo è l’unica via per imparare ad utilizzare la valutazione come verifica e come feed-back per modificare le prestazioni successive. Ciò vale anche per gli insegnanti, che hanno sempre grandi difficoltà a valutare le singole attività didattiche (e dunque a modificarle o implementarle) solo perché tendono a identificare se stessi con le proprie prestazioni. Per l’allievo la valutazione dei suoi docenti può avere un effetto predittivo/profetico; agire sull’auto-riconoscimento e sull’autostima, oppure funzionare come una profezia auto-avverantesi. Si può comprendere quindi l’investimento emotivo e la competitività degli allievi riguardo al voto, spesso assolutamente spropositati. Per un altro verso, è evidente che lo strumento standardizzato di valutazione che viene utilizzato (quale che sia), per valutare periodicamente i percorsi di maturazione di ciascuno studente (voti quadrimestrali, finali, voti d’esame) debba essere riconosciuto per definizione come uno strumento sempre imperfetto, sempre “grezzo” e parziale, rispetto alla complessità dei processi in atto nella relazione docente/studente. Le strategie e le scelte più adeguate possono solo ottenere di “ridurre l’imperfezione” dello strumento, per utilizzarlo nel perseguire con maggiore efficacia funzionale gli scopi istituzionali della scuola (cioè la maturazione progressiva personale di conoscenze, competenze, orientamenti e condotte, giudicati socialmente desiderabili). In altri termini: esiste una ‘valutazione’ di natura certificativa, amministrativamente e burocraticamente necessaria, che gli strumenti utilizzati (voti, schede, formulari) tentano di rendere comparabile in prospettive sociali sempre più ampie (il territorio nazionale, la comunità europea). L’idea che questa parte tecnico-burocratica coincida effettivamente con il processo valutativo dagli insegnanti, dentro la relazione con i loro allievi, costituisce una falsa rappresentazione. La natura convenzionale della certificazione deve essere chiarita agli allievi, così come deve essere chiarito, e in qualche modo “negoziato”, in quali termini ciascun insegnante utilizza gli strumenti certificativi in rapporto alla situazione concreta, spingendo costantemente gli studenti a separare il giudizio sulla loro prestazione/condotta dal giudizio sulla persona, imparando progressivamente ad auto-valutare le prestazioni. In conclusione, la valutazione può essere considerata un'opportunità per i soggetti in relazione tra loro, ossia un momento metacognitivo e metacomunicativo positivo? [1] A. Antonietti, M. Cantoia, La mente che impara. Percorsi metacognitivi di apprendimento, Milano, La Nuova Italia, RCS, 2000, p. 42. [2] Ivi, p. 13. [3] Ibidem. Massimiliano Sanfedino ... la mediazione didattica ... MEDIATTICADisturbi specifici dell’apprendimento
I disturbi specifici dell’apprendimento rappresentano un ambito clinico molto problematico ed eterogeneo. Tale problematicità non è dovuta solo ed esclusivamente agli aspetti clinici dei singoli disturbi, essa riguarda anche l’ambiente, cioè la scuola, in cui i disturbi si manifestano, la vita quotidiana del soggetto con un disturbo specifico. La lettura e la scrittura infatti rappresentano gli strumenti per decodificare, significare e descrivere la realtà circostante e gli aspetti di vita famigliare. Il DSA, Disturbo Specifico dell’Apprendimento, è un disturbo che interessa uno specifico dominio di abilità (lettura, ortografia, grafia e calcolo) in modo significativo, ma circoscritto lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. I DSA, meglio conosciuti con i termini di dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia sono, quindi, disturbi che riguardano lo sviluppo di abilità specifiche, rappresentano un problema ad alta incidenza nella popolazione scolastica (dal 2 al 5%) e originano molti casi di disagio e abbandono scolastico. Per questo è importante identificare il prima possibile tali disturbi, al fine di poter agire sin dalle fasi iniziali di acquisizione delle abilità funzionali all’apprendimento. Muoversi tempestivamente permette, inoltre, di ridurre il disagio di tipo affettivo e sociale e di prevenire l’insorgenza di disturbi comportamentali. Non è un caso infatti che i bambini con un disturbo specifico dell’apprendimento abbiano reazioni che, semplificando, sono legate ad aspetti relativi all’autostima. Le reazioni di un bambino con disturbo specifico possono considerarsi di tre categorie fondamentali: reazioni di tipo aggressivo, caratterizzati dalla costante ricerca del soggetto di un’identità all’interno della propria classe che può sfociare nell’attuazione di atteggiamenti di tipo oppositorio e provocatorio; reazioni depressive, date da un’immagine di sé negativa e squalificante che si riflette sul presente del soggetto, per cui il soggetto si percepisce come privo di valore, ma anche sul futuro, per cui vi è la convinzione che le cose non miglioreranno mai e che nessuna persona o nuova attività possano migliorare le cose; e una reazione caratterizzata da uno stato confusionale costante, per cui la scuola, già normalmente problematica, diviene una struttura informe e incomprensibile, sia a livello didattico vero e proprio che a livello relazionale e sociale. È chiaro quindi che gli adulti che si trovano a stretto contatto con un bambino con disturbo specifico debbano attuare meccanismi relazionali particolari. Genitori, insegnanti e le figure specializzate al recupero devono creare una rete di rapporti di aiuto collaborativi e costruttivi, capaci di migliorare la coscienza delle proprie capacità, devono aiutarlo a costruirsi una nuova un’immagine di sé che integri gli aspetti deficitari a quelli normali, a prendere contatto con i propri limiti e le proprie potenzialità, evitando eccessive oscillazioni tra sentimenti contrastanti di positività e di disfatta. Gli insegnanti, in particolar modo, sono figure sensibili ed importanti nel cammino di un soggetto con disturbo specifico dell’apprendimento: devono essere in grado di graduare le difficoltà che presentano al bambino, rispettare i tempi di apprendimento, selezionando i contenuti e privilegiando gli aspetti concettuali a quelli quantitativi, devono motivare e coinvolgere tutti gli alunni senza creare rapporti viziati e di preferenza, devono usare le gratificazioni con oculatezza e come rinforzo costruttivo, devono favorire le occasioni nelle quali sia possibile parlare delle difficoltà e delle diversità e in ultimo gli insegnanti devono controllare le proprie emozioni, evitando atteggiamenti di frustrazione e di negatività. Si presenta, in conclusione, anche l’essenzialità e l’importanza degli aspetti preventivi che hanno il preciso scopo di individuare i segnali di qualcosa che non procede nel modo giusto in modo da dare vita ad un piano d’intervento tempestivo e, quindi, maggiormente efficace. Massimiliano Sanfedino |
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Gennaio 2021
Massimiliano Sanfedino
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