Batushka - Darkend - 20 settembre 2018 - Dagda Live Club - Live Report a cura di Francky Fin Foti.Photo by Francky Fin Foti. Grande attesa al Dagda live club per la band polacca Batushka (padrone e/o prete della chiesa in lingua slava), rivelazione in ambito black-metal. Con il loro album “Litourgiya” (etichetta - Witching Hour Productions) hanno travolto la scena black-metal mondiale, diventando, in breve tempo, dei capisaldi del genere. Aperte le porte al pubblico, ci si avvicina al palco per attendere i nostrani DarkEnd (Extreme Ritual Art - symphonic black-metal), band che vanta tour europei di supporto ai grandi nomi del genere. La band, dinanzi ad un Dagda gremito, ha proposto un black erede dei primi Dimmu Borgir, con un tocco di occulto e mistero. Animæ, frontman della band, è devastante, circondato dai sui ottimi musicisti. Terminata l’esibizione della band italiana, birra e sigaretta in attesa dei Batushka, mentre si allestisce il palco. Finalmente è la volta dei polacchi, grande scenografia, si emanano fumi ed incensi tra i candelabri. Parte una lunga intro: una vera e propria liturgia (come appunto il titolo del loro album). Il pubblico è in fermento. Ultimata l’intro, danno vita al loro black old school esoterico e impetuoso. La band regala uno show davvero oscuro ed imponente. Eccezionali, come eccezionale è stata la risposta dei fan giunti al concerto. Come sempre non finirò mai di ringraziare tutto lo staff del Dagda, capitanato dal suo boss d’eccezione, la mitica Angela, per l’impegno profuso al fine di regalarci live di spessore. Alla prossima. Stay Black.
Francky Fin Foti Riflessioni sul docente specializzato per il Sostegno. La MEDIATTICA.La vera vocazione di ognuno è una sola, quella di conoscere se stessi. (Hermann Hesse)
“Insegnare oggi appare più che mai una scelta professionale coraggiosa” [1] e la relazione, per il docente specializzato sul sostegno, diviene il punto cardine, poiché “l’insegnamento è di fatto una professione relazionale. Il docente interagisce incessantemente con lo studente, con la famiglia, con i colleghi, con le istituzioni" [2]. Il docente deve tenere presente la consapevolezza del fattore dell’imprevedibilità; non deve mai dare per scontato le preconoscenze dello studente, perché ogni studente è una storia a sé e deve essere conosciuto. Per questo l'osservazione clinica (iniziale e costante) è essenziale, non basta limitarsi a consultare documenti o diagnosi. Osservare luoghi, tempi e relazioni, ponendo l’attenzione su alcuni focus: movimenti, tono della voce, relazione ed esposizione comunicativa con i compagni e i docenti, comportamenti, attenzione, motivazione, sguardi, piccoli gesti, postura. Osservare "non è sinonimo" di vedere, c’è dell’altro: l’osservazione clinica (occhio clinico) equivale al “vedere oltre” e con essa cambia lo spessore della “lente”. Pertanto, osservare, osservarsi e sapere di essere, nello stesso momento, oggetto di osservazione è da ritenersi un lavoro meta-cognitivo ossessivo, quasi ridondante. D’altronde, bisogna considerare che la formazione di un insegnante è un processo senza fine, nella quale si fonde inevitabilmente la storia personale, con “la consapevolezza che il processo di acquisizione di qualsivoglia conoscenza passa necessariamente attraverso il dialogo con se stessi e la propria storia” [3]. Devo ammettere che questo processo di acquisizione, a volte, sfugge all’insegnante “involontariamente”. Chiunque volesse intraprendere la strada dell’insegnamento deve fare i conti con la propria esperienza scolastica, con i propri modelli, con la passione, i successi e gli insuccessi appresi durante la propria vita personale. Riconoscere i propri limiti è inevitabilmente una risorsa. L’“io so”, perché sono un insegnante, e tu non capisci nulla, perché sei uno studente, non è sicuramente l’atteggiamento degno da seguire. Vincenzo Fanelli, scrittore e formatore aziendale di fama mondiale, si è più volte soffermato sull’importanza del “rispecchiamento”, ossia quel sistema che dà la possibilità di creare con il nostro interlocutore un “rapporto empatico”, basato sulla fiducia e la sintonia emotiva. “Il rispecchiamento è uno dei metodi più potenti e che è alla base della programmazione neuro-linguistica. È un sistema per creare velocemente rapporti con il nostro interlocutore. La stessa parola indica un’assunzione della nostra postura speculare a quella di chi ci è di fronte. Pensate a due innamorati. Quando sono insieme, assumono una postura identica, mimando gli stessi gesti, come in una “danza” non verbale" [4]. Vincenzo Fanelli fa esplicito riferimento a Robert Levenson, psicologo della California University di Berkeley, il quale ha mostrato come l’empatia ha una base fisiologica. Inoltre, si deve tenere sempre presente che in una relazione docente-discente entrano in gioco anche le aspettative di entrambi; il linguaggio, le immagini, i segni e le strategie comunicative assumono un ruolo importante perché lo sviluppo delle conoscenze metacognitive di ciascuno è inevitabile. Preso atto “che ciascuno di noi sviluppa delle conoscenze metacognitive delle quali poi può essere più o meno consapevole”, è evidente che “l’acquisizione di questa coscienza permette di intervenire nella regolazione e nel controllo dei processi messi in atto dalla persona” [5]. La riflessione su se stessi non è certamente un lavoro semplice e né tanto meno la si può liquidare in poche battute. Attivare la metacognizione durante l’azione, in questo caso durante l’agire in classe, è un lavoro decisamente laborioso ma per l’insegnante specializzato può essere maggiormente gratificante poiché si tratta di una sfida ulteriore. Difatti, se si riescono a “gestire le diversità individuali, garantendo a tutti gli alunni l’individualizzazione del processo di apprendimento” [6], si favorisce l’integrazione dell'alunno nell’ambiente classe. La conquista di questo traguardo per l’insegnante specializzato altro non è che una maggiore gratificazione che alimenta la propria autostima. Inoltre, l’autoefficacia, ossia quelle “convinzioni relative alla propria capacità di affrontare adeguatamente situazioni specifiche” [7], gioca un ruolo importante. L’autoefficacia dell’insegnante è “il grado in cui egli crede nelle proprie capacità di influenzare la prestazione degli studenti” [8]. Bisogna considerare che “una delle proposte più radicali emerse dalla psicologia culturale nel campo dell’educazione è stata quella di rivoluzionare la concezione della classe, considerandola appunto una sottocomunità di persone che apprendono le une e le altre, dove il docente ha il compito di orchestrazione” [9]. “La conoscenza, dunque, non è «accumulo», ma significati, rapporti, gerarchie, nessi e combinazioni di cui l’insegnante è «orchestratore» più o meno consapevole di più entità fluide che comprendono invariantemente anche se stesso” [10]. Per questi motivi, il compito principale del docente specializzato per il sostegno non è di sostituirsi allo studente, ma è quello di mediare, attraverso strategie didattiche e comunicative, per fare emergere le potenzialità del singolo studente. [1] O. Albanese, Disabilità, Integrazione e formazione degli insegnanti, Bergamo, Edizioni Junior, 2006, p. 29. [2] Ivi, p. 193. [3] L. Formenti, I. Gamelli, Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé nei luoghi dell’educazione. Op. cit., p. 82. [4] Empatia e Rispecchiamento. [5] A. Antonietti, M. Cantoia, La mente che impara. Percorsi metacognitivi di apprendimento. Op. cit., pp. 21-22. [6] O. Albanese, Disabilità, Integrazione e formazione degli insegnanti, op. cit., p. 29. [7] Ivi, p. 197. [8] ibidem. [9] J. S. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 35. [10] P. De Mennato, Saperi della mente, saperi delle discipline, Napoli, Ellissi, 2003, pp. 16-17. Massimiliano Sanfedino |
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Gennaio 2021
Massimiliano Sanfedino
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